A proposito della “Sindrome dell’Impostore”.

Negli ultimi mesi mi è capitato di sentire sempre più spesso persone che stimo profondamente, definirsi come affette da questa sindrome.

Donne e uomini, dagli importanti incarichi professionali che godono di posizioni di assoluto prestigio, ottime persone, sincere e competenti, mi confessavano il terrore di essere smascherati.

Essere scoperti da qualcuno che si accorga che non sono qualificati per ricoprire il ruolo che hanno, ottenuto a loro parere, solo per una circostanza fortuita, per un colpo di fortuna o per il presunto appoggio di un potente.

La “Sindrome dell’impostore”, un fenomeno diffuso che colpisce molte persone di successo, è stata descritta per la prima volta dalle psicologhe Pauline Clance e Suzanne Imes negli anni ’70, grazie ad uno studio compiuto su un gruppo di 250 donne di successo. Queste si descrivevano come persone poco intelligenti, capaci o competenti che avevano ottenuto solo per caso gli ottimi risultati conseguiti e per questo vivevano costantemente con la paura di essere scoperte e screditate.

«Ho scritto undici libri, ma ogni volta penso “ecco, stavolta mi scoprono”. Ho fregato tutti, e lo scopriranno» questo è quanto diceva la scrittrice e poetessa americana Maya Angelou, una delle letterate afroamericane più influenti del Novecento, parlando della propria ricorrente, e sorprendente, insicurezza.

Stiamo parlando quindi di un’esperienza soggettiva generata da fattori diversi quali l’educazione famigliare, l’ambiente sociale, la diseguaglianza di genere o altro, che si combinano tra loro e arrivano a generare contemporaneamente una profonda mancanza di fiducia in se stessi e una serie di convinzioni limitanti che portano ad attribuire il proprio successo semplicemente alla fortuna, a fattori esterni o alla capacità di ingannare gli altri.

Un fenomeno che, anche se maggiormente femminile (anche in questo caso il gender gap lavora perfidamente) , può colpire persone di qualsiasi genere, età o livello di carriera.

Il ruolo del coaching nel superare la “Sindrome dell’impostore”.

Come spesso accade esistono diversi strumenti e metodi per attenuare o rimuovere una convinzione così profondamente radicata e tra questi, di particolare efficacia è il coaching soprattutto se coadiuvato da una corretta mappatura dei valori.

Il coaching è un percorso strutturato in cui il coach accompagna il/la cliente nel definire i propri obiettivi e di costruire dei piani di azione che permettano al/la cliente di raggiungerli in maniera pratica.

Quindi, attraverso il coaching, un professionista può lavorare con il cliente per identificare le credenze limitanti e i modelli di pensiero negativi che alimentano la “Sindrome dell’impostore”.

Mediante sessioni personalizzate, il coach supporta il/la cliente a cambiare i propri schemi mentali, sviluppando una visione più positiva di sé e acquisendo una maggiore consapevolezza delle proprie capacità.

Inoltre, attraverso la mappatura dei valori di Coaching by Values, il/la cliente ha la possibilità di identificare i propri valori e di posizionarli all’interno di una scala gerarchica di importanza .

Comprendere in base a quali valori siano state compiute le proprie scelte, quali siano i motivi profondi per cui si sono raggiunti determinati risultati e di come questi abbiano avuto un impatto pratico sulle proprie azioni permette di alzare concretamente e rapidamente  il livello di auto consapevolezza e raggiungere un senso di autenticità e di fiducia in se stessi che possa efficacemente contrastare la “Sindrome dell’impostore”.

Concludendo

La sindrome dell’impostore è una sfida comune a molte persone di successo che ne limita il potenziale. Con l’aiuto di un percorso di coaching (come Coaching the Gap) e della mappatura dei valori (Coaching by Values) è possibile superare questa condizione e sviluppare una maggiore fiducia in se stessi per abbracciare il proprio successo in modo autentico e costruire una vita soddisfacente e significativa.

Andrea Albini (Coaching the Gap)